Nessuno potrà più essere licenziato perché gay o trans negli Stati Uniti, lo stabilisce la Corte Suprema

Scritto da on 19 Giugno 2020

Nessuno potrà più essere licenziato perché gay o trans negli Stati Uniti, lo stabilisce la Corte Suprema

In una sentenza storica la Corte suprema degli Stati Uniti vieta la discriminazione sul posto di lavoro in base all’orientamento sessuale e all’identità di genere.

Il 15 giugno 2020 segna una data storica per i diritti civili americani, in particolare della comunità lgbtq che ha inaspettatamente visto aumentare la propria tutela contro la discriminazione in ambito lavorativo. La Corte suprema degli Stati Uniti ha infatti stabilito che nessuna persona può essere licenziata sulla base del proprio orientamento sessuale o della propria identità di genere.

In particolare, ha deliberato in riferimento al titolo VII del Civil rights act del 1964, che vieta la discriminazione sul lavoro in base a razza, religione, origine e sesso, per cui è stata chiesta un’interpretazione ai giudici proprio sulla definizione di quest’ultimo termine. La Corte Suprema ha spiegato che questo non si limita al genere sessuale ma comprende anche l’orientamento sessuale e l’identità di genere.

Negli Stati Uniti non si può più licenziare per essere gay o trans, lo stabilisce la Corte Suprema

La Corte Suprema protegge i diritti lgbt sul lavoro

“È una delle decisioni più importanti della Corte sui diritti civili delle persone gay e trans”, ha commentato l’analista della Corte Suprema per la Cnn Steve Vladeck, che è docente alla School of Law dell’Università del Texas. “In questo senso solo la decisione del 2015 che ha riconosciuto il diritto costituzionale ai matrimoni gay è di egual importanza”.

Una vittoria che arriva dopo anni di battaglie e che i promotori si aspettavano di raggiungere ben prima di quella dei matrimoni. Eppure, è stata tutt’altro che banale se si pensa che ad oggi solo 22 stati americani hanno leggi attive che tutelano i lavoratori da questo tipo di discriminazione. Come sottolinea infatti il New York Times: “Un impiegato che sposava il suo partner dello stesso sesso la mattina, il pomeriggio poteva venire licenziato per essere gay”.

Con 6 voti a favore e 3 contro, la decisione è risultata inaspettata nella comunità lgbt per l’ormai dominante presenza conservatrice tra i giudici della Corte suprema, come Brett Kavanaugh e Neil Gorsuch, nominati dal presidente Donald Trump, e il presidente della Corte John Roberts. Ma proprio Gorsuch e Roberts si sono schierati a favore della decisione e Gorsuch è stata anche la persona che si è occupata di scrivere la – lunga – opinione della maggioranza.

“Un datore di lavoro che licenzia un individuo per essere omosessuale o transessuale, licenzia a causa di caratteristiche o azioni che non avrebbe messo in discussione con persone di diverso orientamento sessuale. Il sesso ha un ruolo inevitabile e innegabile in questa decisione, ed è proprio ciò che vieta il titolo VII”

Per arrivare alla sua conclusione la Corte Suprema ha analizzato tre casi, due sulla discriminazione in base all’orientamento sessuale e uno in base all’identità di genere. Il primo era stato presentato da Gerald Bostock, che era stato licenziato da un programma governativo a supporto di bambini vittime di abusi a Clayton County dopo essersi iscritto a un torneo di softball per gay. Il secondo caso era stato invece presentato da Donald Zarda, un istruttore di skydiving, licenziato dopo aver rassicurato una cliente donna sul fatto di essere legati insieme dicendole di essere 100 per cento gay.

Il terzo caso, quello sull’identità di genere, era stato invece presentato da Aimee Stephens, una donna transessuale che è stata licenziata da un’impresa di pompe funebri nel 2013 dopo averlo comunicato al suo superiore dicendo che avrebbe voluto iniziare a lavorare in abiti da donna. Una vittoria per tutti arrivata dopo anni – quasi dieci – che purtroppo però Zarda e Stephens non hanno potuto celebrare perché scomparsi nel 2014 e nel 2020 rispettivamente.

La decisione permetterà alle persone discriminate sul posto di lavoro per il proprio orientamento o identità sessuale di fare causa, esattamente come le persone vittima di razzismo. Ovviamente, chi procede per vie legali deve fornire prove e, di contro, i datori di lavoro devono sostenere di non aver agito con discriminazione.

La sentenza richiama alla mente il caso dell’ex deputato e avvocato italiano Carlo Taormina, che nel 2014 aveva dichiarato pubblicamente di non voler assumere persone lgbt nel suo studio legale. Secondo la Corte di giustizia europea ciò violava il diritto comunitario, confermando ad aprile 2020 la condanna per Taormina, ribadendo che l’omofobia costituisce una discriminazione in materia di lavoro.

Fonte: Lifegate


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