La donna era partita a fine maggio da Londra, dove si trovava per lavoro. Dopo uno scalo a Roma era arrivato a Palermo, città in cui è residente, insieme con i parenti. Dopo poco, Hafiza, in stato di gravidanza avanzato, si è sentita male: febbre, problemi di respirazione. I familiari si sono allarmati e hanno chiamato i soccorsi: la situazione era gravissima.
“Ogni giorno che guadagnavamo, era una possibilità in più di far nascere la bambina che aveva in grembo”, ricordano i medici. Hanno fatto di tutto: da Pavia è arrivato il plasma autoimmune, l’unica terapia che non fosse troppo aggressiva per una donna incinta. Fin quando, l’11 giugno, un’équipe di ginecologi, neonatologi e anestesisti ha fatto nascere, con un cesareo, Raisha: un batuffolo di un chilo e 400 grammi.
“Dopo il parto alla trentesima settimana di gestazione — racconta il primario Renda — abbiamo potuto dedicarci di più alla madre. Le abbiamo fatto la tracheotomia, le condizioni respiratorie sono migliorate”. È ancora in terapia intensiva, ma i medici stanno avviando le richieste per trasferirla in un centro di riabilitazione respiratoria.
Tra i reparti del Cervello tutti, infermieri e medici, chiedono di lei: “Come sta Sofia Rosalia?”. Così l’hanno ribattezzata, Sofia come il nome dell’azienda sanitaria, Rosalia come la santa patrona di Palermo. Paziente, il neonatologo Mario Tumminello risponde a tutti. “È un po’ come se fosse figlia nostra, ce ne siamo presi cura con ancora più passione del solito — racconta il dottore — Ogni mattina, la prima cosa che faccio prima di iniziare a lavorare è aggiornare tutti sulle condizioni di salute della piccola”.
A Raisha è stata riscontrata una cardiopatia congenita che nulla c’entra con la nascita prematura né con la malattia della madre. “Quando era da noi — continua Tumminello — le sue condizioni cliniche erano stabili. Ma, confrontandoci con i cardiochirurgi, abbiamo ritenuto che fosse più sicuro trasferirla a Taormina perché il problemino avrebbe potuto causarne altri”.