Litfiba, l’Ultimo Girone anche per dire no a Putin
Scritto da Alberto Barcellona on 28 Aprile 2022
Il rock, la politica, la guerra, oltre 40 anni di storia condivisa, la gioia di tornare a suonare. C’è stato tutto questo e tanto altro nella partenza ieri sera al Gran Teatro Geox di Padova (sold out) dell’Ultimo Girone, il tour d’addio dei Litfiba.Una lunga festa itinerante che andrà avanti per tutta l’estate. Sul palco nessuna malinconia per Piero Pelù e Ghigo Renzulli che – tra l’entusiasmo del pubblico – hanno pescato a piene mani in oltre 160 pezzi editi da quel 6 dicembre 1980, quando tutto cominciò davanti a un centinaio di persone. “Ma oggi è come allora. E’ come se fosse la prima data della nostra storia, e anche l’ultima – raccontano a fine serata -. E’ tutto una sorpresa. Il dopo? Vedremo, ma la musica va avanti in ogni caso”. Il concerto – tutto suonato, senza campionamenti, senza basi, senza gobbo – celebra la storia della rockband italiana più longeva (e che vede nei Maneskin “un esempio unico nella storia della musica italiana” e nei Fask gli eredi diretti), ma con uno sguardo lucido sulla realtà che ci circonda. Un concerto in qualche modo politico, e ogni brano diventa occasione per riflettere e interrogarsi. La guerra, il sostegno all’Ucraina, il no a Putin sono quasi il filo conduttore tra le 23 canzoni che compongono la scaletta. “Quando abbiamo ripreso in mano tutto il materiale, ho ritrovato nelle parole di canzoni scritte 35-38 anni fa un’attualità imbarazzante – racconta Pelù -. Mi è sembrato giusto fare questi collegamenti. Con Istanbul, che celebra il popolo curdo, e Lulù e Marlene (dedicata a Mariupol) mi è venuta la pelle d’oca. Un concerto politico, sì, molto diverso da quelli che si sentono oggi in cui si punta soprattutto sui sentimenti. Di fronte ad un’attualità devastante come quella che stiamo vivendo, non ci sembrava onesto vivere in una bolla, anche a costo di fermare qualche sorriso. Penso che sia anche il ruolo di un artista, l’essere collegato alla realtà e non solo al suo piccolo mondo”. Alle Z dei carri armati russi, i Litfiba contrappongono quattro X ad indicare i quattro decenni della loro storia (più 2 anni di pandemia) e l’energia del rock’n’roll. “Sono obiettore dal 1983, sono sempre stato contro l’uso delle armi e della violenza. Ma dopo due mesi di orrori in Ucraina una posizione va presa. Ci sono periodi della storia dell’uomo in cui o si fa cancellare o resiste. Pacifisti sì, ma non masochisti. Non ci si può far sparare in mezzo alla fronte senza reagire. La guerra è il Diavolo in persona”, sottolinea. Pelù, insieme a Ligabue e Jovanotti, diede vita nel 1999 al progetto contro la guerra nell’ex Jugoslavia Il mio nome è mai più, che in tre mesi raccolse oltre 1 miliardo e mezzo, consegnati a Gino Strada per la costruzione di tre ospedali di guerra. “Sto cercando di coinvolgere di nuovo Luciano: sarebbe bello riuscire a fare qualcosa anche stavolta. Ci sono 53 guerre in atto in tutto il mondo, milioni di profughi, ci sarebbe solo l’imbarazzo nello scegliere a chi destinare i fondi, ma il panorama è cambiato e tutto è abbastanza complicato. Ma, come dice la nostra canzone, l’impossibile non c’è”. Durante le quasi due ore e mezzo di live, c’è anche l’omaggio a Giulio Regeni (in Louisiana), alle vittime della mafia (Dimmi il nome), a Gino Strada (Eroi nel vento), la critica a Elon Musk (“Twitter in mano sua sarà un buco nero”) e ai tanti dittatori nel mondo (L’impossibile), al nucleare (Resta). “La politica seria non la devono fare i miliardari – continua il rocker fiorentino -, loro si devono godere i loro miliardi. La politica la fanno quelli che l’hanno studiato e poi si mettono a servizio del popolo”. E poi c’è il Pelù che non ti aspetti, che parlando del brano Lo spettacolo – nato dopo la morte di Kurt Cobain – racconta di come a 18-20 anni, per una delusione d’amore, abbia pensato lui stesso al suicidio. “La sua morte mi ha dato lo stimolo a dire ‘non sono d’accordo con il suo gesto’. Sono contrario ad una scelta così estrema. Io ci ho pensato da ragazzo, a un’età in cui sei ancora molto instabile. Il rocker è una persona molto più fragile o sensibile di quello che sembra sul palco: nella quotidianità non avrà mai nemmeno un decimo di quell’adrenalina”.