Il tessuto che amplifica l’udito

Scritto da on 17 Marzo 2022

Realizzare un tessuto che converte il suono in vibrazioni meccaniche e poi in segnali elettrici, in modo simile a quanto avviene all’interno delle orecchie umane. Questo l’obiettivo che ha guidato uno studio, pubblicato sulla rivista Nature, condotto dagli scienziati del Massachusetts Institute of Technology, e della Rhode Island School of Design.

Il team, guidato da Wei Yan e Yoel Fink, ha sviluppato un materiale che funziona in modo simile a un microfono. Tutti i tessuti vibrano in risposta ai suoni, spiegano gli autori, ma si tratta di vibrazioni su scala dei nanometri, troppo basse per essere percepite normalmente. I ricercatori hanno creato una fibra flessibile a base di un materiale piezoelettrico, che produce un segnale elettrico quando piegato o deformato meccanicamente.

Il tessuto può catturare suoni che variano da pochi decibel a rumori più intensi ed è in grado di rilevare il battito cardiaco di chi lo indossa.

Le fibre possono anche essere adoperate in modo da generare suoni. Gli studiosi hanno utilizzato come riferimento il funzionamento del sistema uditivo umano.

“Indossare indumenti acustici – afferma Wei Yan, del Mit – potrebbe semplificare molte attività che spaziano dal monitoraggio dei battiti cardiaci fino alla comunicazione. Il nostro tessuto puo’ interfacciarsi impercettibilmente con la pelle umana, consentendo il controllo continuo, confortevole e a lungo termine di una serie di valori vitali”.

“Il nostro materiale – aggiunge Elizabeth Meiklejohn, collega e coautrice di Yan – è stato in grado di rilevare l’angolo del suono entro un grado a una distanza di tre metri. La capacità di individuare la direzione di provenienza della vibrazione potrebbe aiutare le persone ipoacusiche a concentrarsi su una fonte sonora”.

Tra le possibili applicazioni pratiche del prodotto, gli scienziati ipotizzano ad esempio l’impiego in una linea premaman in modo da rilevare il battito cardiaco del bambino, all’interno di un veicolo spaziale per valutare l’accumulo di polvere, o negli edifici per individuare eventuali crepe.

“Potremmo addirittura pensare di intessere una rete intelligente in grado di monitorare la biodiversita’ oceanica – conclude Fink – abbiamo davvero una serie di opportunità”.


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